I PARTIGIANI D'ITALIA

Lo schedario delle commissioni per il riconoscimento degli uomini e delle donne della Resistenza

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Commissione regionale Toscana per il riconoscimento della qualifica di partigiano

Composizione
  • Nome: Commissione Regionale Toscana per il riconoscimento della qualifica di partigiano
  • Giurisdizione: Toscana
  • Sede: Firenze
  • Presidente:
    • 1. Achille Mazzi (fino al 12 luglio 1948)
    • 2. Adalberto Croci (12 luglio 1948-6 novembre 1949)
    • 3. Alfredo Lari (dal 7 gennaio 1947)
  • Rappresentante Ministero della guerra
    • 1. Adalberto Croci
  • Rappresentanti Anpi
    • Formazioni del popolo Autonome
      • 1. Ubaldo Bicci
      • 2.. Alfredo Lari (dal 24 febbraio 1948)
    • Formazioni: Giustizia e Libertà
      • 1. Giuliano Calcini
      • 2. Mario Del Monaco
    • Formazioni: Autonome (liberali)
      • 1. Aristo Ciruzzi
      • 2. Carlo Coccioli
    • Formazioni: Garibaldi
      • 1. Ugo Corsi
      • 2. Fortunato Avanzati
      • 3. Giuseppe Garella (dal 7 gennaio 1947)
      • 4. Cesare Massai (dal 27 gennaio 1947)
    • Formazioni: Matteotti
      • 1. Lino Del Poggetto
    • Formazioni: Psi
      • 1. Dante Isoppi (dal 7 gennaio 1947)
    • Formazioni: Centro Militare
      • 1. Valter Ottaviani
      • 2. Guido Pelliccia (dal 1 marzo 1948)
      • 3. Emilio Mannucci (dal 1 marzo 1948)
    • Formazioni: Indipendenti
      • 1. Aldo Verdelli
    • Formazioni: ?
      • 1. Pietro Del Giudice
      • 2. Antonino Grignano
      • 3. Antonio Lucchini
      • 4. Carlo Villani
Insediamento e composizione

Tra il 27 dicembre 1945 e una data di poco successiva al 17 giugno 1949 la Commissione toscana tenne circa 600 sedute.
La composizione della Commissione fu completata durante le prime due sedute (27 dicembre 1945 e 10 gennaio 1946).

L’attività

Il lavoro ordinario della Commissione prese avvio durante la quarta riunione (19 gennaio 1946) e procedette, nelle sedute successive, con l’esame delle posizioni dei richiedenti il riconoscimento a partire dai gradi e dalle funzioni più elevati. Compito primario della Commissione toscana, come delle altre, era proprio l’esame delle pratiche per l’attribuzione dei riconoscimenti; in una fase successiva si procedette anche all’analisi dei ricorsi.
Ancor prima di affrontare tali pratiche, la Commissione si trovò a dover valutare questioni di tema ampiamente politico, come quella dei processi ai partigiani, a proposito dei quali si chiese a Roma di sospendere il giudizio almeno fino a quando la Commissione stessa non si fosse espressa sul riconoscimento da attribuire ai soggetti eventualmente coinvolti nelle indagini della magistratura. Costoro, Tali nominativi, e più precisamente quanti si trovavano già in prigione, sarebbero stati i primi a essere esaminati.
Altre questioni di ampia portata discusse fin da subito furono quelle del riconoscimento delle staffette e di azioni come il rastrellamento di mine, o quelle dell’inquadramento dei commissari politici all’interno degli organi di comando delle formazioni, del trattamento dei casi di “tregua” tra nazifascisti e partigiani, dell’ “elasticità” necessaria a trattare i singoli casi al fine di «dare il riconoscimento che merita al movimento partigiano».
I dibattiti interni alle Commissioni furono senza dubbio uno dei primi banchi di prova e di discussione su ciò che sarebbe diventata l’interpretazione – storiografica, ma anche giuridica – della Resistenza, in tutti i suoi aspetti. La Commissione toscana si occupò ad esempio anche del tema relativo all’eventuale «indegnità» dei riconosciuti partigiani. Nel corso della nona seduta, dovette infatti rispondere al Ministero dell’assistenza post-bellica che chiedeva di sapere in che modo essa stesse valutando coloro che, pur possedendo i requisiti di partigiani o patrioti, ne fossero divenuti «indegn[i] per la [loro] condotta morale». I membri della Commissione si interrogarono, ovviamente, sulla tempistica di tale eventuale indegnità – precedente o successiva alla smobilitazione – e la discussione fu piuttosto accesa. Alla fine si stabilì di proporre al Ministero che «le Commissioni nel giudicare i casi di indegnità si riferis[sero] ai reati commessi da un partigiano durante il periodo che [andava] dal giorno in cui egli [era] entrato a far parte di una formazione partigiana al giorno della sua smobilitazione». Per il periodo successivo, la Commissione toscana chiedeva l’emanazione di un decreto legge apposito, che privasse della qualifica chi fosse stato ritenuto indegno .
Il tema dell’indegnità rientrava pienamente nella valutazione di coloro che, prima di aderire a formazioni partigiane, avessero fatto parte, per le più svariate ragioni, di formazioni repubblicane. In alcune zone della Toscana come quella di Apuania – notava il commissario Del Giudice – questo fenomeno aveva riguardato quasi tutti i giovani in età di leva, soprattutto nei mesi immediatamente successivi all’armistizio, giovani che poi erano divenuti elementi importanti e valorosi della Resistenza. Tra loro figuravano anche persone per le quali si richiedevano le più alte onorificenze. Alcuni commissari – in particolare Croci – erano in ogni caso del parere che la gran parte degli ex aderenti alla Rsi fosse entrata nella Resistenza solo per «fini riabilitativi», e raccomandava di giudicare senza eccessiva «longanimità». Alla fine la Commissione stabilì di dichiarare al Ministero che, per quanto riguardava la Toscana e con l’eccezione della zona di Apuania, sarebbero stati considerati indegni tutti coloro che si erano arruolati volontariamente nelle formazioni fasciste e naziste, a meno che tale arruolamento non fosse stato esplicitamente autorizzato dal Cln o dai comandi di formazione. Per i richiamati, invece, si propose di riconoscere solo coloro che avessero lasciato le formazioni fasciste e naziste entro il marzo-aprile 1944, a patto che quei richiamati fossero militari di truppa. Nessuna qualifica, infatti, andava attribuita a ufficiali e sottufficiali, anche se appartenenti alle formazioni della repubblica per pochissimo tempo.
In ogni caso, anche nei mesi successivi e su indicazione degli uffici centrali, si raccomandava, per quanto riguardava «coloro che hanno collaborato coi nazi-fascisti ed in particolare […] quelli che hanno fatto il doppio gioco», «estrema severità» e «approfondite indagini», relative anche ai comandanti che avevano autorizzato tali pratiche. Massima ma meritata severità fu mostrata, poi, nei confronti di alcuni riconosciuti partigiani che, pur avendo dichiarato di non aver giurato fedeltà alla Rsi, furono denunciati dai distretti militari di appartenenza per la loro «compromissione con la psuedo Repubblica». Le qualifiche furono revocate e la denuncia alla procura della Repubblica per falso in atto pubblico fu resa nota attraverso gli albi comunali, la comunicazione ai distretti e agli uffici provinciali del Ministero dell’assistenza post-bellica.
Per quanto riguarda il lavoro ordinario, furono istituite fin da subito delle “segreterie locali” con il compito di raccogliere e preparare la documentazione che la Commissione avrebbe esaminato per attribuire le qualifiche a singoli partigiani e formazioni. Le sottocommissioni, invece, erano formate esclusivamente da membri della Commissione incaricati di effettuare delle valutazioni preliminari su casi specifici, di competenza territoriale dei designati. Sia nella sua veste completa, sia, soprattutto, in quella ridotta delle sottocommissioni, la Commissione era un organismo itinerante, che si spostava nelle varie province per compiervi indagini rientranti nelle proprie competenze.
Nel considerare l’operato delle formazioni, solitamente la Commissione ascoltava, dopo aver letto una relazione scritta, i suoi vertici (comandante militare, commissario politico etc.) e, ove possibile, i rappresentanti delle popolazioni che vivevano nelle zone in cui dette formazioni avevano operato. La discussione, per l’audizione dei vari testi, si protraeva, se necessario, per più sedute, e solo alla fine si decreteva il riconoscimento dei singoli membri, il loro periodo di anzianità, le qualifiche accessorie (caduto per la lotta di Liberazione , ferito, invalido, mutilato).

Altre questioni

Nel gennaio del 1947 la Commissione cominciò a occuparsi anche delle pratiche relative a pensioni di guerra e riconoscimento dei gradi partigiani.
Alcune delle sedute della Commissione furono dedicate all’esame delle onorificenze da proporre alla Commissione di secondo grado. L’iter era piuttosto lungo e complesso, ma ciò è comprensibile se si considera che si trattava di attribuire riconoscimenti a veri e propri protagonisti della Resistenza nazionale, e che tali onorificenze avevano ricadute estremamente concrete nella vita dei destinatari (premi in denaro, promozioni, avanzamenti di grado e nella carriera civile etc.). Secondo un verbale della Commissione toscana, a livello nazionale si adottava il criterio standard di destinare la massima onorificenza, la medaglia d’oro, ai soli caduti. La Commissione regionale aveva il compito, tra le altre cose, di proporre il conferimento di ricompense al valor militare anche ai gonfaloni di comuni meritevoli, per l’apporto da loro dato alla lotta partigiana. Le proposte sarebbero state valutate e nel caso approvate dalla Commissione di secondo grado, e le onorificenze auspicabilmente conferite in occasione di date significative del calendario civile, prima tra tutte il 25 aprile.
Non solo di medaglie e croci di guerra, tuttavia, poteva disporre la Commissione regionale nei suoi meccanismi di premialità: passaggi nei ruoli effettivi di ex partigiani impegnati nella carriera militare e avanzamenti di grado erano altre modalità di riconoscimento che una Commissione regionale poteva proporre a quella di secondo grado, cui spettava l’ultima decisione.
La documentazione della Commissione toscana ci fornisce anche un primo esempio di “sistematizzazione” della Resistenza attraverso la modulistica che fece pervenire, perché la compilassero, agli ex comandanti di formazione. I moduli servivano a fornire «le indicazioni indispensabili alla Commissione per attribuire le qualifiche gerarchiche partigiane ai fini amministrativi». Partendo dal presupposto che «un lavoro preciso [era] praticamente impossibile», si chiese ai comandanti di unità superiore di registrare i periodi di comando – distinti in 7 diverse fasi, da uno a cinque mesi a seconda dell’andamento del fronte, dal 9 settembre 1943 al 25 aprile 1945 – dei sottoposti, in modo da corrispondere loro l’assegno di comando. Ovviamente, il comandante doveva compilare i moduli «senza cedere ad influenze esterne per favorire uno piuttosto che l’altro volontario», precisando il giorno in cui aveva assunto il comando superiore e «la composizione e dislocazione delle sue forze», cioè dei reparti a lui subordinati, dei quali andavano registrati i nomi dei comandanti in subordine. Il comandante superiore li avrebbe senza dubbio ricordati poiché, si sosteneva, «nella guerra partigiana la comunione di vita e la solidarietà nel pericolo fecero sì che almeno fino alla brigata, il comandante conoscesse personalmente tutti i dipendenti».
Oltre ai dati numerici e alle informazioni che documentazione del genere restituisce, risulta interessante per l’analisi anche il dato che rimanda a una diffusa consapevolezza, cioè quella di trovarsi di fronte a un’esperienza di guerra totalmente nuova, magari difficilmente inseribile nei canoni “amministrativi” di una tradizione bellica consolidata, e che tuttavia si sperava, forse troppo ottimisticamente, divenisse segno concreto di un radicale cambiamento di rotta nella storia del paese.

Fonti e bibliografia

Antifascisti lucchesi nelle carte del casellario politico centrale. Per un dizionario biografico della Provincia di Lucca, a cura di G. Fulvetti e A. Ventura, Lucca, Maria Pacini Fazzi editore, 2018

Toscana Novecento, Partigiani e patrioti

SIUSA, fondo Avanzati Fortunato

Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, database

Archivio Centrale dello Stato:

– Ricompart, Commissione Toscana, busta Toscana FI 1, Verbali 1-100
– Ricompart, Commissione Toscana, busta Toscana FI 3, Verbali 151-200

[Isabella Insolvibile]