I PARTIGIANI D'ITALIA

Lo schedario delle commissioni per il riconoscimento degli uomini e delle donne della Resistenza

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Commissione regionale Ligure per il riconoscimento della qualifica di partigiano

Composizione
  • Nome: Commissione ligure per il riconoscimento della qualifica di partigiano.
  • Giurisdizione: Regione Liguria nelle sue quattro zone operative (I, II, IV e VI)
  • Sede: Hotel Bristol Via XX Settembre n. 35 Genova (sino all’agosto 1946), poi Via D’Annunzio n.2 Genova (più tre segreterie distaccate per le provincie liguri)
  • Presidente: Generale di Brigata Martinengo Enrico
  • Rappresentante Ministero della guerra
    • 1. Capitano di Fanteria in servizio permanente effettivo Sannia Eugenio
    • 2. Capitano di Fregata Villa Alberto
  • Rappresentanti Anpi
    • Formazioni: Matteotti
      • 1. Picco Lorenzo
      • 2. Mitta Mario
    • Formazioni: Garibaldi
      • 1. Pucci Armando
      • 2. Franzone Mario
    • Formazioni: Patria
      • 1. Lazagna Umberto
      • 2. Marré Erasmo
    • Formazioni: G.L.
      • 1. Ferrari Giuseppeo
      • 2. Trombetta Giovanni
    • Formazioni: Odino
      • 1. Arecco Callisto
      • 2. Merlo Mario

    [Qui è riportata la composizione della Commissione all’inizio della sua attività]

    Premessa

    Quando, nell’ottobre del 1945, la notizia della costituzione di una Commissione ministeriale per il riconoscimento delle qualifiche partigiane arriva in Liguria, sono già da tempo in atto diverse misure di iniziativa locale, indirizzate a certificare e censire i combattenti della lotta di Liberazione.
    La regione non è infatti nuova all’idea di un ente in grado di recepire e valutare le richieste degli ex combattenti; nel maggio del 1945, lo stesso Cln, insediato all’Hotel Bristol sin dai giorni della liberazione, aveva incaricato Farini Carlo Manes, allora Colonnello Vice Comandante del Cmrl, di presiedere una «Commissione per il riconoscimento del grado ai partigiani […] formata da un rappresentante per ciascuno dei sei partiti» (verbale riunione Cln Liguria del 26 maggio 1945), anticipando così, in larga misura, l’effettiva composizione indicata, nei mesi a venire, dalle circolari ministeriali.
    La misura votata dal Cln si inserisce all’interno di quella serie di provvedimenti, voluti dalle singole Brigate e dalle singole Divisioni e volti a definire gli effettivi partecipanti alla guerra partigiana, con l’intento di realizzarne un quadro definitivo e ufficiale, rispetto ai numerosi enti certificatori locali.
    In previsione di ciò, il Comando Generale del Clnai dirama, nei primi giorni di giugno, una circolare indirizzata a tutti i Comandi Militari regionali del Cvl e ai comandi militari territoriali di Torino, Genova, Milano, Udine e Bologna, che mette in guardia, da coloro i quali, «alla resa dei conti […] si preoccupano di farsi rilasciare al più presto rapporti informativi e dichiarazioni che documentino la loro attività durante il periodo della resistenza» (lettera del 5 giugno 1945 del Clnai, n. prot. 215/0) La sensazione, comune a molti, infatti era che:

      «i documenti in oggetto vengano rilasciati con una facilità che rasenta talvolta la leggerezza e redatti in una forma così vaga e lusinghiera per la quale bisognerebbe dedurre che tutti indistintamente abbiano dato “contributo essenziale al movimento».

    L’eccessivo numero di tessere rilasciate dalle singole brigate sembra non essere il solo problema da affrontare: a complicare ulteriormente la faccenda contribuiscono, infatti, numerose formazioni e unità, nate a ridosso della Liberazione, che si adoperano per produrre rapidamente certificati e benemerenze di ogni tipo. Si tratta di organizzazioni non autorizzate dal Cln e spesso legate ai vecchi nomi del fascismo repubblicano quando, nella peggiore delle ipotesi, non direttamente gestite da questi. A Genova, ad esempio, erano emersi i “Gruppi Cavour”, così descritti dalla stampa partigiana:

      «così come la tartaruga che mette fuori la testa dal guscio quando il pericolo è passato, così ora che non ci sono più né tedeschi né fascisti escono fuori i “Gruppi Cavour”» (“Il partigiano”, 30 giugno 1945).

    Assieme a questi, sorta probabilmente con lo stesso intento, era nata la “Brigata Sap Entella” che si occupava di realizzare tessere e benemerenze a presunti partigiani del levante genovese, senza alcuna approvazione o riconoscimento da parte del Comitato di Liberazione.
    A queste difficoltà si associa, inoltre, il gravoso compito di dover dare una forma e una standardizzazione alla guerra partigiana che, per le sue stesse caratteristiche, era stata asimmetrica, irregolare e difficilmente inquadrabile in un’ottica militare, secondo la concezione degli eserciti della metà degli anni ’40. Per usare le parole con le quali Roberto Battaglia, all’epoca ai vertici del Servizio assistenza ai partigiani del Ministero per l’assistenza post-bellica, si riferisce alle situazioni locali:

      «indubbiamente questo è il problema più delicato lasciatoci in eredità dalla guerra di Liberazione che si è svolta con caratteristiche regionali varie, ora con reparti organizzati in disciplina militare ora con gruppi armati quanto mai fluidi e difficilmente controllabili. Il compito affidato alle commissioni è stato in sostanza quello di regolarizzare una guerra che per sua natura è stata irregolare» (Il Ministero dell’Assistenza per i Partigiani, in “Il partigiano”, 5 ottobre 1946).
    Insediamento

    Nell’ottobre del 1945, assieme alla costituzione delle Commissioni regionali, va concentrandosi la produzione normativa e la corrispondenza tra il Ministero dell’assistenza post bellica, i diversi Cln e i rappresentanti alleati dell’Amgot, ancora formalmente incaricati della gestione dei veterani della lotta partigiana e del loro inquadramento: nel contempo, a beneficio dell’amministrazione, vengono elaborati i criteri per l’equiparazione dei gradi e delle unità militari, resi noti anche al Governo militare alleato, con circolare del 10 ottobre indirizzata, mediante l’ufficio di collegamento italiano, alla Patriots branch dell’Allied Commission.

    La notizia della costituzione di una commissione di natura ministeriale giunge sul tavolo del Cln il 18 ottobre 1945 e si colloca al di sopra di ogni censimento locale, istituendo, per la prima volta a livello ufficiale, una gerarchia documentale e un iter per il riconoscimento dell’attività partigiana. A presiedere ad essa, su nomina del Ministro Lussu, viene posto il Generale Enrico Martinengo Durante, che il 22 novembre 1945 viene informato della sua nomina e dell’iter per l’insediamento della Commissione.

    Martinengo, comasco classe 1896, aveva già dimostrato grandi capacità di leadership alla guida del Comando Militare Regionale Ligure, muovendosi abilmente tra le delicate questioni della VI Zona Operativa, del rapporto con le missioni alleate e dell’elaborazione del piano per la liberazione di Genova.

    La convocazione dei commissari da parte del Presidente è altrettanto rapida e la prima riunione è fissata per martedì 11 dicembre nei locali dell’Anpi di Via San Vincenzo 68, ex sede del Circolo Ufficiali del Regio Esercito.

    Di lì a poco, una volta insediata ufficialmente, la Commissione trova posto presso la camera 338 dell’Hotel Bristol; è tra le mura di questa stanza, al terzo piano dell’albergo, che inizia ufficialmente la storia della Commissione Regionale per il riconoscimento delle qualifiche partigiane della Liguria. Dalla sua finestra, affacciata su Via Sofia Lomellini, si intravede la centralissima Via XX Settembre, teatro, nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione, delle sfilate dei prigionieri e di quelle dei vincitori e fulcro della vita della città. Ed è proprio qui, tra le sue strette mura, che vanno affastellandosi le prime delle decine di migliaia di pratiche che la commissione analizzerà nel corso della sua esistenza.

    Ad affiancare Durante sono i rappresentanti dei principali partiti componenti il Cln, nominati anch’essi dal Ministero: Lorenzo Picco Renzo e Mario Mitta Giorgi sono i due incaricati delle formazioni Matteotti. Il primo, avvocato nato a Capriata d’Orba nel 1898, ha alle spalle una lunga militanza nel partito socialista e una scelta, quella di rifiutare la resa ai Tedeschi l’8 settembre 1943, di svestire l’uniforme da ufficiale del Regio Esercito, e di condurre la guerra di liberazione sino all’incarico di Vicecommissario della VI Zona Operativa ligure, il secondo, milanese classe 1894, è il Commissario politico della Brigata Matteotti Val Bisagno. Durante il suo impegno all’interno dell’Ufficio organizzazione del Comando unificato regionale,  Picco collabora con l’azionista Giovanni Trombetta responsabile, assieme a Giuseppe Ferrari Negrini, operaio e capo di stato maggiore del Comando Piazza di Genova, delle brigate Giustizia e Libertà in seno alla Commissione.

    A garantire per le formazioni Garibaldine, largamente maggioritarie nell’ambito della Resistenza in Liguria,  vengono nominati Fernando Pucci Ettore, commissario delle brigate SAP Garibaldi del Comando Piazza genovese, e Mario Franzone Ugo, Vicecommissario del Comando della VI Zona Operativa. Erasmo Marrè Minetto e Umberto Lazagna Canevari sono invece i due incaricati per le Formazioni Patria; uno è stato paracadutato in Val Pellice con il team Meriden dell’ORI e è poi diventato comandante della Brigata Arzani, mentre l’altro, già ufficiale nel corso della Grande guerra, è stato prima Capo di Stato Maggiore della VI Zona operativa e, poi, vicecomandante della stessa.

    Alla rappresentanza delle Brigate Odino vengono chiamati due Piemontesi, Callisto Arecco e Mario Merlo, reduci della Brigata Odino e artefici della ricostruzione della Brigata Autonoma Alessandria.

    In conformità al decreto, il Ministero della Guerra nomina il Capitano di Fanteria Eugenio Sannia “Banfi”, già Ufficiale istruttore dell’Accademia militare di Modena, avvicinatosi prima ai Volontari Armati Italiani e, in seguito, divenuto comandante della 57° Brigata Berto e vicecomandante della Divisione Cichero. Assieme a Sannia viene nominato il Capitano di Fregata Alberto Villa, pluridecorato al Valore Militare, distintosi nella lotta di Liberazione nel corso di alcune operazioni con il CVL piemontese nella zona di Savigliano.

    A sostegno del Comitato centrale vengono aperte le Segreterie distaccate di Savona, Imperia e La Spezia, agevolando così la raccolta dei dati e il censimento delle formazioni e dei combattenti; questo spiegherebbe, almeno in parte, la diversa qualità in materia di dati raccolti e la differente compilazione delle schede elaborate dalla Commissione Ricompart in fase finale di delibera.

    L’attività

    Il lavoro di indagine della Commissione si concretizza in un quadro che viene pubblicato all’incirca ogni due settimane, recante l’elenco dei riconosciuti all’interno di una delle diverse categorie definite dal Decreto dell’agosto 1945, unitamente ai nominativi scartati o respinti, perché non soddisfacenti i requisiti per la richiesta.
    Lo stesso Ministero dell’assistenza post-bellica stabilisce che tali quadri debbano essere affissi per almeno un mese all’albo comunale di riferimento, in vista di eventuali ricorsi, da presentarsi entro due mesi dalla data di pubblicazione degli stessi, come chiaramente indicato da una circolare distribuita unitamente ai quadri recante la firma dello stesso Martinengo.
    Il lavoro delle differenti commissioni regionali presenta, sin da subito, numerose problematiche; da un lato quella di riuscire a stabilire criteri univoci per produrre uno standard equo e rapportabile alle diverse dimensioni che la lotta di Liberazione ha avuto, a seconda delle regioni e dei differenti contesti, dall’altro quella di sopperire alle carenze documentali tipiche della lotta clandestina.
    Se un primo censimento delle formazioni partigiane si ottiene mediante la creazione dei diari storici e dei resoconti delle Brigate, redatti su spinta del Cln nei mesi immediatamente successivi alla liberazione, molto spazio di manovra viene comunque lasciato al singolo partigiano. A sua cura è, infatti, la stesura del “Modello B” e “Modello B1”: una coppia di schede pressoché identiche recanti sedici voci di natura biografica e anagrafica. Particolare attenzione è rivolta alla formazione partigiana di appartenenza e al nome del diretto superiore al suo interno, unico garante dell’effettiva veridicità di quanto scritto dal redattore del modulo. Seguono poi indicazioni relative alla precedente esperienza militare, qualora presente, e all’eventuale adesione alla Rsi. Si tratta di un passaggio chiave nell’ambito della ricostruzione storica dell’immediato dopoguerra: salvo casi particolari, infatti, a doppiogiochisti e informatori coinvolti a diverso titolo nell’Esercito repubblicano, viene negata ogni forma di riconoscimento da parte della Commissione stessa.
    Lo stesso Cln non perde occasione per ribadire l’importanza di apporre, su tutte le pratiche relative al riconoscimento dei sappisti (categoria già di difficile valutazione), la dichiarazione che l’interessato «non ha mai appartenuto a forze fasciste, tedesche, repubblicane, né mai ha collaborato con esse», pena la sospensione della pratica. Oltre alle tipologie riconosciute dalla Commissione ligure, il Comando Presidio di Genova si ripropone di rilasciare un certificato a tutti coloro che, pur avendo compiuto atti benemeriti, non hanno però i requisiti per essere compresi nelle categorie dei “partigiani” e dei “patrioti”. Si tratta di coloro che hanno elargito somme o materiali senza chiedere rimborso, cha hanno custodito nelle loro abitazioni radio, armi e materiali clandestini, che hanno dato ospitalità ed assistenza a ricercati politici, patrioti, evasi, conferendo così un titolo a chi, pur non partecipando direttamente alla lotta armata, si è distinto nel supporto al movimento clandestino, attraverso opere assistenziali, donazioni e aiuto materiale.
    Il lavoro della Commissione si sovrappone e sostituisce a quello dei numerosi enti certificatori dando vita ad una inedita stagione di produzione documentale. La risposta dei facenti domanda è così numerosa che, nell’agosto del 1946, la Commissione è costretta a spostarsi nella più adeguata sede di Via D’Annunzio, mentre il Cln vede una progressiva riduzione degli uffici e del personale, misura che ne anticipa la chiusura definitiva.
    Due sono dunque gli indirizzi verso cui si chiude il 1946: da un lato, quello che vede un Cln ridotto progressivamente ad un organo consultivo le cui funzioni amministrative sono in continua diminuzione, dall’altro quello che vede la Commissione ligure per il riconoscimento delle qualifiche partigiane, impegnata in un difficile lavoro di raccolta e di selezione del materiale.

    Altre questioni

    La questione dell’inquadramento di alcune categorie di combattenti è ancora oggetto di dibattito alla fine del 1946: nelle giornate di sabato 21 e domenica 22 dicembre di quell’anno, il Clnai, unitamente a quello toscano, organizza un convegno con sede a Genova, nella prestigiosa Sala della Giunta di Palazzo Tursi, per fare il punto sulle posizioni e sullo stato dell’arte dei Comitati di Liberazione.
    Tra gli argomenti oggetto di dibattito vi è l’annosa questione del riconoscimento dello status di partigiani ai membri del Cln, sino a quel momento disattesa dalle Commissioni Ricompart. Pessi, rappresentante del Cln Liguria, lamenta, in quell’occasione, il fatto che la Commissione regionale avesse risposto ad una sua lamentela comunicando che solo in alcuni casi particolari sarebbe stato concesso il riconoscimento ai membri del Cln regionale. Verificato che la situazione si ripropone, seppur con termini diversi, anche nei rapporti tra gli altri Cln e le Commissioni Regionali, il Convegno si chiude con una richiesta, da presentare, unitariamente a queste ultime: rivedere e uniformare i criteri per l’inclusione dei Cln all’interno del sistema per le qualifiche partigiane. Qualcuno, aveva persino proposto che ad ogni Commissione, fosse associato un membro del Cln della medesima regione, facendo emergere, nella risposta dello stesso Pessi, la condizione di attrito, esistente tra la i due enti e le difficoltà nell’inquadrare in un’unica forma, il contributo alla lotta clandestina dei Comitati di Liberazione.

    Difficoltà e problemi

    Come dimostra il caso di Imperia, dove la sottocommissione locale non ha riconosciuto, oltre ai membri dei Cln Provinciale, gli stessi sappisti nonostante abbiano avuto «la casa saccheggiata dai fascisti» e abbiano «esposto la loro vita», le Commissioni e le segreterie distaccate sono un organo la cui autonomia genera non solo una certa indeterminatezza, ma anche un endemico ritardo nell’evasione delle pratiche: ancora nell’aprile del 1947, infatti, alla Commissione ligure arrivano lettere che lamentano il fatto che nessuno si sia ancora recato a verificare l’esistenza di alcune formazioni o l’effettiva partecipazione di alcuni individui nelle “periferie” regionali.
    Il 31 dicembre del 1946, al termine di un periodo di progressiva riduzione, si chiude anche l’Ufficio stralcio del Comitato di Liberazione regionale ligure, precedentemente incaricato della raccolta dei diari storici e dei resoconti militari delle Brigate partigiane e, con questo, si esaurisce anche l’ultimo organo di diretta emanazione del Cln. Il testimone passa al nascente Istituto ligure per la storia della Resistenza, la cui formazione, fortemente voluta dal Cln stesso, apre un nuovo periodo per la storia della documentazione sul partigianato. Ad una raccolta di natura anagrafica e quantitativa, si affiancano studi e ricerche orientati ad una ricostruzione organica della lotta di Liberazione in Liguria.
    La Commissione ligure sopravvive alla fine del Cln ma, nel febbraio del 1947, sotto la direzione di Emilio Sereni, il Ministero dell’assistenza post-bellica viene soppresso e le sue competenze divise tra il Ministero dell’interno, quello della Difesa e la Presidenza del Consiglio dei ministri: è l’inizio di un periodo piuttosto complesso per la gestione delle pratiche dei richiedenti che porta, spesso, a far si che le cartelle con il materiale documentario, passino dall’uno all’altro ministero, a seconda della tipologia di richiesta o delle necessità dell’ente. L’esperienza delle Commissioni fu caratterizzata da un’attività frenetica di raccolta e verifica dei dati, portata spesso avanti con un’endemica carenza di risorse e con metodi che si erano andati perfezionando nel corso del tempo: gli stessi modelli “B”, per esempio, non furono distribuiti dal Ministero ma vennero realizzati e stampati a livello locale dalle singole Commissioni, a sottolineare l’effettiva indipendenza e l’autonomia dell’organo di valutazione, ma anche la mancanza di un coordinamento nazionale efficace.
    Seppur condotte con scarse risorse, nel difficile clima dell’immediato dopoguerra, le indagini della Commissione ligure, come quelle delle altre nove, istituite con d.l.l. del 21 agosto 1945 n. 518, ebbero origine dall’urgenza dell’Italia del dopoguerra, di fare i conti (almeno in parte), con un movimento spontaneo e sfaccettato come quello di Liberazione, rispondendo ad uno slogan dal sapore antico la cui attualità si era fatta pressante nel 1945: “fatta la Resistenza, bisogna fare i Partigiani!”.

    Fonti e bibliografia

    “Il partigiano”, 30 giugno 1945 e 5 ottobre 1946

    Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea (Ilsrec):

    – fondo AP (Attività politica), busta 3, fasc. 2

    – fondo Cln, busta 241 fasc. 2, busta 241b, fasc. 5

    [Alessio Parisi]